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Antibiotico-resistenza: l’ONU lancia l’allarme sul “lento tsunami” - Antibiotico-resistenza: l’ONU lancia l’allarme sul “lento tsunami”

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Antibiotico-resistenza: l’ONU lancia l’allarme sul “lento tsunami”

Nel corso dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella seduta dedicata al tema dell’antibiotico-resistenza, il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Margaret Chan, si è rivolta ai leader mondiali riuniti paragonando questa minaccia per la salute globale ad un “lento tsunami”.

Analogamente si è espresso il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, sottolineando come gli operatori sanitari stiano progressivamente perdendo la capacità di salvare “le persone e gli animali da infezioni pericolose per la vita”, e per questo l’antibiotico-resistenza, minacciando la salute, comprometta al contempo lo sviluppo umano.

Alcuni dati mostrano quanto siano gravi le ripercussioni dell’antibiotico-resistenza: un’epidemia di tifo multiresistente si sta diffondendo in diverse regioni dell’Africa, in 105 Paesi si registrano forme di tubercolosi resistenti ai farmaci, mentre sono circa 200.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa dei cosiddetti “super-batteri”. Secondo una previsione del governo del Regno Unito, se attualmente, a livello globale, sono circa 700.000 le persone che, a causa dell’antibiotico-resistenza, muoiono di sepsi,  tubercolosi e altre malattie, entro il 2050 questa cifra potrebbe salire fino a 10 milioni. Ingenti sono anche le ripercussioni sui sistemi economici, in particolare nei Paesi in via di sviluppo: un rapporto pubblicato di recente dalla Banca Mondiale ha stimato che, sempre entro il 2050, i costi della resistenza antimicrobica potranno incidere sul bilancio degli Stati assorbendone il 5%.

José Graziano da Silva, Direttore generale della Food and Agricultural Organization (FAO) delle Nazioni Unite ha invece sottolineato l’ampio uso di antibiotici negli allevamenti – negli Stati Uniti il 70% del consumo complessivo – che genera serbatoi di agenti patogeni resistenti. Anche l’agricoltura, pertanto, “deve assumersi la sua parte di responsabilità – ha dichiarato da Silva – sia attraverso un utilizzo più responsabile degli antimicrobici che riducendo la necessità di usarli attraverso una migliore igiene aziendale”.

Articolato in quindici punti, il Documento sottoscritto da 193 Paesi nel corso dell’ultima Assemblea generale prevede lo sviluppo di piani nazionali, lo stanziamento di un finanziamento certo e sostenibile, lo sviluppo di nuovi farmaci e la formazione, del personale sanitario e dei pazienti, circa i rischi della resistenza antimicrobica per incoraggiare un cambiamento che deve necessariamente essere anche comportamentale e culturale. Si è inoltre deciso di istituire un organismo di coordinamento, che si riunirà a settembre 2018 per un confronto sui progressi raggiunti.

Commentando per la rivista The Lancet l’intesa raggiunta, il Direttore Chan ha espresso soddisfazione perché i Paesi hanno finalmente dimostrato l’adeguata determinazione per “risolvere un problema trascurato”, suggerendo la necessità di attuare una strategia coordinata: “Nessun singolo settore -agricoltura, sanità, commercio - può agire da solo per affrontare questo problema multidimensionale”.

Non mancano tuttavia le critiche al documento, riprese in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di The Lancet. Secondo alcuni, infatti, gli impegni assunti dai governi per frenare l’uso degli antibiotici nelle aziende agricole e incentivare gli investimenti nella ricerca per sviluppare nuovi antibiotici, consapevolizzando, al contempo, medici e pazienti ad un utilizzo più responsabile di quelli attualmente disponibili, sarebbero ancora troppo generici e deboli. Ramanan Laxminarayan, Direttore del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy a Washington, pur elogiando la riunione di alto livello, ha lamentato la mancanza di obiettivi chiari. Per Laurie Garrett, esperta di salute presso il Council on Foreign Relations, il documento esprimerebbe invece soltanto “una radicale preoccupazione”.

Leggi l’articolo su Lancet

 


Pubblicato il: 05 agosto 2016

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