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Dal DNA artificiale nuove speranze per la Scienza, anche regolatoria - Dal DNA artificiale nuove speranze per la Scienza, anche regolatoria
Dal DNA artificiale nuove speranze per la Scienza, anche regolatoria
"Se leggi un libro che è stato scritto con quattro lettere, non sarai in grado di raccontare molte storie interessanti. Se hai a disposizione più lettere, potrai inventare nuove parole, trovare nuovi modi per utilizzarle e probabilmente sarai in grado di raccontare storie più interessanti”. Ma se la storia di cui ci occupiamo è la storia della vita, allora quelle lettere in più possono riscriverla in forme ed espressioni fino ad oggi neppure immaginabili. La metafora è di Denis Malyshev, uno dei biologi del Dipartimento di Chimica dell’Istituto di Ricerca Scripps di La Jolla, in California, che, guidati da Floyd Romesberg, sono riusciti a costruire in laboratorio due basi di DNA artificiali, in grado di essere accolte in una cellula. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati qualche giorno fa su Nature (“A semi-synthetic organism with an expanded genetic alphabet”), suscitando clamore non solo tra gli scienziati.
Per miliardi di anni, la storia della vita è stata scritta con solo 4 lettere: A, T, C e G (adenina, timina, citosina e guanina): le basi azotate che compongono i nucleotidi del DNA. Nei filamenti complementari del DNA la guanina è sempre appaiata alla citosina e l’adenina alla timina, formando coppie di basi (G-C e A-T) che hanno essenzialmente la stessa forma e ingombro sterico. Tutte le forme di vita conosciute contengono e trasmettono di generazione in generazione le informazioni genetiche usando le basi che si trovano negli acidi nucleici.
Con la creazione di una cellula vivente che ha nel suo genoma due basi di DNA artificiali, l’alfabeto della vita si arricchisce adesso di due nuove lettere. Poiché la vita sulla terra è biochimicamente stabile, la possibilità di alfabeti alternativi richiede solide prove sperimentali. È proprio quanto è avvenuto in questo studio, che ha dimostrato come un paio di basi sintetiche possano replicarsi stabilmente in un batterio di Escherichia Coli.
“Poco dopo la scoperta del DNA – scrivono Ross Thyer e Jared Ellefson, biologi dell’Università del Texas, in un editoriale (“Synthetic biology: New letters for life's alphabet”) pubblicato su Nature contestualmente allo studio principale – si era supposto che analoghi delle basi naturali potessero formare una terza coppia funzionale. Passarono quasi 30 anni prima che i progressi nella sintesi organica e lo sviluppo di metodi per l'ampliamento del DNA consentissero agli scienziati di esplorare questa ipotesi. Nel 1989, Steven Benner e il suo team sintetizzarono una coppia di basi formata da isomeri di guanina e citosina e dimostrarono in vitro la replicazione, la trascrizione e persino la traduzione di sequenze di DNA che incorporavano questa coppia di basi. Nel 1995 si scoprì che i legami d’idrogeno tra le basi non sono un requisito assoluto per il legame complementare, e che possono essere sostituiti dalla compatibilità sterica e dalle interazioni idrofobiche. Ciò culminò nello sviluppo indipendente di tre paia di basi altamente ortogonali, ciascuna capace di una fedeltà di replicazione in vitro superiore al 99%. Malyshev e colleghi descrivono adesso lo sviluppo di un batterio capace di replicare fedelmente un plasmide - una piccola molecola circolare di DNA - contenente la coppia di basi idrofobiche d5SICS: DNAM, creando così il primo organismo in grado di ospitare un alfabeto genetico ingegnerizzato e ampliato”.
"Oggi abbiamo una cellula vivente che contiene letteralmente informazioni genetiche in più", dice Romesberg. Lui e il suo team hanno individuato un paio di basi compatibili con gli enzimi che si occupano di copiare e tradurre il codice del DNA. Lavorando con reazioni in provetta, sono riusciti a ottenere una coppia di basi sintetiche in grado di ricopiarsi e di essere trascritte nell’RNA.
La prima sfida per la creazione di questa vita aliena – scrive Ewen Callaway nel suo editoriale “First life with “alien” DNA” era far in modo che le cellule accettassero le basi estranee, condizione necessaria per mantenere la molecola nel DNA durante i ripetuti cicli di divisione cellulare, nei quali il DNA viene copiato. Gli scienziati hanno raggiunto l’obiettivo modificando geneticamente un batterio di Escherichia coli. Hanno creato un plasmide contenente un’unica coppia di basi esterne e l’hanno introdotto nelle cellule di Escherichia coli. Un’alga unicellulare (la diatomea) ha fornito il nutrimento ai nucleotidi esterni e il plasmide è stato copiato e trasmesso alle cellule in divisione del batterio per quasi una settimana. Quando la fornitura si è esaurita, i batteri hanno sostituito le basi esterne con quelle naturali.
L’obiettivo di diversi gruppi di ricerca è adesso indurre le cellule a produrre in autonomia le nuove basi, senza aver bisogno di importarle dall’esterno. Il team di Romesberg sta lavorando invece per far sì che il DNA artificiale codifichi proteine che contengono aminoacidi diversi dai 20 che costituiscono quasi tutte le proteine naturali. Gli aminoacidi sono codificati da catene di tre lettere di DNA, per cui l'aggiunta di altre due "lettere" aumenterebbe notevolmente la capacità delle cellule di codificare nuovi aminoacidi.
“Il passo successivo – scrivono Thyer ed Ellefson – sarà quello di garantire il mantenimento a lungo termine. Può darsi che il meccanismo biologico utilizzato da Malyshev e colleghi nell’Escherichia coli consentirà all'organismo di adottare senza difficoltà le basi artificiali come parte del proprio alfabeto genetico. Se così fosse, si aprirebbero prospettive finora inimmaginabili per l'ingegneria genetica umana. Ma forse l’applicazione ultima di tali coppie di basi – concludono i due scienziati – sarà quella di aggiungere nuovi codoni (triplette di nucleotidi che codificano gli amminoacidi incorporati nelle proteine) al codice genetico attraverso interazioni codone-transfer-RNA. Si espanderebbe così notevolmente il numero di codoni disponibili cui possono essere assegnate nuove funzioni traslazionali, come ad esempio la codifica di amminoacidi non standard, e si eviterebbe ai biologi sintetici di dover ricodificare le funzioni traslazionali dei codoni esistenti attraverso una accurata ingegneria del genoma. In altre parole, un alfabeto genetico esteso contribuirà a costruire un alfabeto traslazionale espanso”.
Il lavoro condotto dai biologi americani è stato accolto con grande entusiasmo negli ambienti scientifici. Le applicazioni in medicina non saranno immediate e richiedono ulteriori sviluppi della ricerca. Potenziali applicazioni potrebbero essere, in ambito farmacologico, l'incorporazione in una proteina di un amminoacido in grado di riconoscere e uccidere solo le cellule tumorali, e, in ambito diagnostico, lo sviluppo di aminoacidi fosforescenti che potrebbero aiutare gli scienziati a monitorare particolari reazioni biologiche al microscopio. Nuovi scenari da esplorare e nuove sfide per la Scienza, anche regolatoria.
Saverio Vasta e Luca Pani
Pubblicato il: 13 maggio 2014