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Infezioni croniche: i batteri resistenti possono scambiarsi metaboliti per incrementare la virulenza

Secondo uno studio dell’Università di Vanderbilt, alcuni batteri resistenti agli antibiotici possono condividere le risorse per causare infezioni croniche. Come i singoli componenti di una “banda” che potrebbero essere relativamente innocui da soli, divengono letali quando si uniscono ai loro "amici".

I risultati dello studio, che sono stati riportati sulla rivista Cell Host & Microbe, gettano luce su un tema lungamente dibattuto in infettivologia - secondo  Eric Skaar, Professore di Patologia, Microbiologia e Immunologia - e potrebbero dare nuovo impulso alle strategie di trattamento.

Una delle maniere in cui lo Staphylococcus aureus e altri agenti patogeni possono diventare resistenti agli antibiotici è la modificazione della modalità che utilizzano per  produrre energia, trasformandosi in sottopopolazioni Scv (Small Colony Variant), piccole e deboli.

La domanda che i ricercatori si sono posti è “come è possibile che i batteri che in laboratorio si sviluppano poco possano causare infezioni così persistenti negli esseri umani?”.  

Gli studi attuali sostengono che i batteri stafilococco resistenti agli antibiotici, tra cui i ceppi meticillino-resistenti (MRSA), possano  scambiarsi nutrienti tra loro e anche con altre specie batteriche, tra cui i microbi "normali" del microbioma, aumentando la loro virulenza durante un'infezione.

I risultati dello studio ì mettono alla prova il dogma delle malattie infettive, secondo Skaar e colleghi. "Il pensiero è stato che se l'infezione diventa resistente agli antibiotici, conseguentemente gli organismi resistenti apparivano in modo clonale, ovvero tutti geneticamente uguali".

Skaar ei suoi colleghi si sono chiesti se "ci sia un numero elevato di organismi che sono diventati resistenti in maniere diverse e che possano scambiare tra loro le molecole che a ognuno singolarmente mancano".

L’ipotesi  è stata testata in laboratorio mescolando insieme due diversi ceppi di Scv di stafilococco - uno che non può produrre ematina e l'altro che può produrre menachinone. Nella coltura i due ceppi si sono reciprocamente scambiati i metaboliti e cresciuti come se fossero normali ceppi di stafilococco.

Successivamente gli studiosi hanno testato l'idea in un modello animale (topo) con infezione dell'osso (osteomielite). La Scv  S. aureus antibiotico-resistente causa sia l’ostiomelite cronica che infezioni polmonari nei pazienti affetti da fibrosi cistica (CF).  I ricercatori hanno dimostrato che i singoli ceppi di stafilococco erano in grado di causare una infezione ossea minima ma una volta mescolati insieme hanno dato vita ad un’infezione virulenta e letale per le ossa.

"All’interno dell’osso i batteri si stavano scambiando le molecole", ha commentato il Prof. Skaar.

I ricercatori hanno poi isolato campioni di stafilococco Scv e batteri comuni dai polmoni dei pazienti affetti da fibrosi cistica. Quando singoli gruppi di stafilococchi SCV sono stati mescolati insieme in una coltura, sono cresciuti come i batteri in ambiente normale. Allo stesso modo, la crescita degli stafilococchi SCV è stata potenziata dalla compresenza delle normali specie batteriche del  microbioma.

"Il microbioma dei polmoni di un paziente affetto da fibrosi cistica può fornire nutrienti per queste piccole colonie e ripristinare il comportamento normale" ha aggiunto Skaar.

"I nostri risultati mostrano che queste infezioni resistenti agli antibiotici non sono ciò che pensavamo, un singolo ceppo che attraverso una lesione che conduce al fenotipo Scv. Sono una popolazione mista di organismi che condividono i nutrienti” ha commentato l’autore.

Investire in ricerca e sviluppo di nuove terapie farmacologiche in grado di prevenire lo scambio di nutrienti tra batteri, secondo Skaar, può essere una nuova strategia terapeutica contro questi microrganismi resistenti agli antibiotici.

Leggi lo studio originale 


Pubblicato il: 17 ottobre 2014

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