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Pazienti con multimorbilità, la gestione della politerapia e i rischi delle interazioni farmacologiche

La politerapia, ovvero l’assunzione concomitante di più farmaci della stessa o di diverse aree terapeutiche, è un termine apparso nella letteratura medica oltre 150 anni fa [1] ma sempre più utilizzato per indicare un fenomeno in costante crescita negli ultimi anni. Infatti, a causa della transizione demografica e dell’invecchiamento della popolazione, un numero molto elevato di pazienti anziani è affetto da molteplici malattie croniche, il cui trattamento segue linee guida concepite per raggiungere obiettivi legati ad ogni specifica patologia.

In un editoriale pubblicato sul British Medical Journal (BMJ), Alessandra Marengoni, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia e membro dello Steering Group Geriatrico dell’AIFA e Graziano Onder, del Dipartimento di Geriatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma nonché componente dello Steering Group Geriatrico dell’AIFA, offrono il loro punto di vista sulla politerapia e sui potenziali rischi che può comportare per i pazienti. “Una delle conseguenze della politerapia è l’alto tasso di reazioni avverse” scrivono i ricercatori sulle pagine del BMJ “principalmente a causa delle interazioni farmaco-farmaco (la capacità di un farmaco di modificare l’effetto di un altro farmaco somministrato successivamente o contemporaneamente). Il rischio di interazione tra i farmaci in ogni singolo paziente aumenta in rapporto al numero di malattie coesistenti e a quello di farmaci prescritti”.

La politerapia potrebbe essere considerata alla stregua di un “male necessario”, specialmente alla luce dei cambiamenti demografici e del grado di incidenza delle malattie croniche nei paesi dell’Occidente industrializzato, ma è necessaria una vigilanza proattiva sulle interazioni farmacologiche dagli effetti potenzialmente seri. L’editoriale infatti accompagna la pubblicazione di  uno studio in cui Dumbreck [2] et al. hanno analizzato tre linee guida terapeutiche realizzate dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) del Regno Unito, relative al diabete mellito di tipo 2, all’insufficienza cardiaca e  alla depressione, ricercando in maniera sistematica tutte le possibili interazioni farmaco-farmaco in altre 11 linee guida del NICE riguardanti patologie potenzialmente comorbide. La conclusione a cui i ricercatori sono giunti è che le interazioni farmaco-farmaco potenzialmente rilevanti dal punto di vista clinico sono numerose e spesso trascurate dalle linee guida.

In generale” notano Marengoni e Onder “sono poche le linee guida che considerano la possibilità che alcuni pazienti possano essere affetti da altre malattie concomitanti, trattate con farmaci ulteriori”. Anche se alcuni esempi recenti di linee guida hanno cominciato a considerare il problema della comorbilità, siamo ancora ai primi passi di un lungo cammino. I pochi esempi disponibili, infatti, considerano solo una comorbilità per volta, mentre l’approccio più rispondente al contesto real-life sarebbe quello di considerare la necessità di gestire pazienti che presentano diverse comorbilità allo stesso tempo.

Esiste quindi un divario da colmare, nel campo delle interazioni tra i farmaci e della loro gestione nell’interesse dei pazienti. La distanza che intercorre tra teoria e pratica clinica è ancora molto grande.

Si tratta di una criticità particolarmente importante per popolazioni particolarmente vulnerabili come gli anziani, dal momento che la prevalenza di multimorbilità, come sottolineano gli autori, aumenta con l’aumentare dell’età  e, parallelamente, aumenta la prevalenza di politerapia. Inoltre l’età avanzata è caratterizzata da cambiamenti fisiologici nella farmacocinetica e farmacodinamica dei diversi farmaci che possono aumentare il rischio di interazioni e eventi avversi farmacologici.

Lo Steering Group Geriatrico dell’AIFA ha dedicato uno studio allo sviluppo di indicatori dedicati a misurare la qualità delle prescrizioni nella popolazione anziana, misurando al contempo la prevalenza degli indicatori stessi sul totale della popolazione anziana del nostro Paese. Si tratta di uno studio di enorme rilevanza, dal momento che, per la prima volta, una ricerca sulla qualità della prescrizione prendeva in considerazione la totalità della popolazione e analizzava i dati estratti dall’Osservatorio sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’AIFA, che comprende tutti i farmaci soggetti a prescrizione e rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale.

Lo studio ha evidenziato l’ampia diffusione della politerapia nella popolazione geriatrica in Italia,  con più di 1.300.000 individui (11,3%) che ricevono una prescrizione contemporanea di 10 o più farmaci. Si tratta di un dato particolarmente significativo e il gruppo di età risultato essere esposto al più alto carico farmacologico è quello tra i 75 e gli 84 anni, con il 55% dei soggetti trattati con 5‐9 farmaci e il 14% con 10 o più farmaci.

I dati epidemiologici sono chiari. A esserlo meno sono  gli strumenti a disposizione dei clinici per l’analisi di tutte le implicazioni che ne derivano per i pazienti interessati dalla politerapia e, pertanto, Marengoni e Onder propongono delle raccomandazioni finalizzate a superare il gap conoscitivo e gestionale riscontrato.

Secondo gli autori vi è in primo luogo, la necessità di una valutazione multidimensionale di ciascun paziente, per sviluppare un percorso di cura personalizzato. Nel caso degli anziani è prioritario il riconoscimento disturbo delle numerose fragilità, fra le quali il deterioramento cognitivo e funzionale occupano un ruolo preponderante assieme alla frequente mancanza di un supporto sociale.

In secondo luogo, i medici dovrebbero avere a disposizione i più aggiornati  strumenti tecnologici per effettuare le diagnosi e le valutazioni cliniche. Nel caso delle possibili interazioni farmacologiche, secondo Marengoni e Onder, è necessario riconoscere l’impossibilità, tanto per il clinico quanto per qualsiasi linea guida, di elencare tutte le possibili interazioni legate alla terapia delle malattie croniche coesistenti. Gli strumenti informatici possono rappresentare per i medici una risorsa preziosa, aiutandoli a risolvere il problema in modo più efficiente, contribuendo così a migliorare la qualità della prescrizione e a ridurre le interazioni farmacologiche.

Gli autori offrono un suggerimento importante anche dal punto di vista della concezione e dello sviluppo delle linee guida, indicando nei database adattativi elettronici la direzione verso cui tendere, dal momento che  consentono, ad esempio, la ricerca interattiva per specifiche condizioni. L’accesso e l’interazione a linee guida elettroniche in grado di aggiornarsi in tempo reale, anche attraverso tablet e smartphone, è un pezzo importante del futuro della pratica clinica e della professione medica.

L’utilizzo di nuovi strumenti elettronici o il migliore uso di quelli già esistenti e la valutazione complessiva dei pazienti” concludono gli autori “aiuteranno i medici ad ottimizzare e a migliorare i trattamenti farmacologici utilizzando tutte le informazioni disponibili sulle malattie, sui farmaci e sulle caratteristiche specifiche di ogni singolo paziente”.

Un auspicio importante e un richiamo a un maggior impegno per la tutela della salute di una popolazione di pazienti, quella delle persone con multimorbilità, particolarmente vulnerabile.


[1] Polypharmacy: a necessary evil, http://dx.doi.org/10.1136/bmj.f7033

[2] Drug-disease and drug-drug interactions: systematic examination of recommendations in 12 UK national clinical guidelines,  http://dx.doi.org/10.1136/bmj.h949


Pubblicato il: 08 aprile 2015

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