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Studio sulla malattia di Alzheimer finanziato dai NIH - Studio sulla malattia di Alzheimer finanziato dai NIH

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Studio sulla malattia di Alzheimer finanziato dai NIH

Uno studio finanziato dai National Institutes of Helth, e pubblicato di recente sulla rivista Neuron, suggerisce una potenziale strategia per lo sviluppo di trattamenti che arginino il processo degenerativo della malattia di Alzheimer. Tale strategia si basa sulla rimozione dei detriti tossici che si accumulano nel cervello dei pazienti, mediante il blocco dell'attività di una proteina – un regolatore poco noto – chiamata CD33.

Un eccesso di CD33 – sostengono i ricercatori – sembra favorire l’insorgenza dell’Alzheimer in età avanzata impedendo alle cellule di supporto di sgombrare le placche tossiche, principali fattori di rischio per la malattia. Futuri farmaci in grado di impedire l’attività del CD33 nel cervello potrebbero aiutare a prevenire o curare la malattia.

Variazione nel gene CD33 è risultata come uno dei quattro principali sospettati nella più grande rete genomica delle famiglie colpite dall’Alzheimer, riportata da Tanzi e dai colleghi nel 2008. Il gene era noto per produrre una proteina che regola il sistema immunitario, ma la sua funzione nel cervello rimaneva sfuggente.

I ricercatori hanno trovato una sovra-produzione di CD33 nelle cellule della microglia – un tipo di cellule della glia che si occupano della prima e principale difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso centrale (SNC - nel cervello post-mortem di pazienti con malattia di Alzheimer di insorgenza tardiva, la forma più comune della malattia. Nei cervelli si erano accumulate la maggiore quantità di proteina CD33 sulla superficie delle cellule della microglia, il maggior numero di proteine beta-amiloidi e di placche - detriti dannosi. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che i cervelli di persone che hanno ereditato una versione del gene CD33 che li ha protetti dall’Alzheimer mostravano vistosamente quantità ridotte di CD33 sulla superficie della microglia e una quantità minore della proteina beta-amiloide, il maggior costituente delle placche senili.

Livelli cerebrali di beta-amiloide e placche sono anche marcatamente ridotti nei topi ingegnerizzati per CD33 sotto-rappresentata o mancante. In questi animali le cellule microgliali si sono rivelate più efficienti nello sgombrare i detriti.

I risultati dello studio – e quelli di un recente studio sui ratti che replicato molte caratteristiche della malattia umana – supportano ulteriormente la teoria prevalente che l'accumulo di placche di beta-amiloide sia un tratto distintivo della patologia di Alzheimer. Giungono in un momento di fermento nel settore, suscitato da altre recenti prove contraddittorie che suggeriscono che questi presunti colpevoli potrebbero invece svolgere un ruolo protettivo.

Poiché la maggiore attività di CD33 nelle cellule della microglia riduce la clearance della protenia beta-amiloide nell’Alzheimer di tarda insorgenza, i ricercatori sono ora alla ricerca di agenti in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e bloccarle la proteina.

Leggi sul sito del NIH


Pubblicato il: 02 luglio 2013

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