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Basterà un antibiotico ad evitare un’appendicectomia? - Basterà un antibiotico ad evitare un’appendicectomia?
Basterà un antibiotico ad evitare un’appendicectomia?
Uno studio pubblicato sul British Medical Journal lo scorso 5 aprile a firma di alcuni ricercatori dell’Università di Nottingham in Inghilterra, evidenzia come sia possibile trattare farmacologicamente con antibiotici pazienti affetti da appendicite acuta non complicata, in sostituzione dell’intervento chirurgico di rimozione dell’organo danneggiato.
Lo studio ha interessato un totale di 900 pazienti, dei quali 470 trattati con terapia antibiotica e 430 sottoposti ad appendicectomia. La cura farmacologica si è dimostrata efficace per il 63% dei casi, con una riduzione delle complicanze conseguenti alla chirurgia del 31%.
Gli autori della ricerca suggeriscono quindi di tenere in considerazione la terapia con antibiotici come trattamento primario per i casi di appendicite acuta non complicata e di ricorrere alla chirurgia nei casi evidenti di perforazione o peritonite.
Un editoriale a commento dell’articolo, sempre pubblicato sul BMJ, non nasconde alcune perplessità circa i risultati dello studio. Soprattutto sottolinea come i tempi (e quindi i costi) di degenza in ospedale per i pazienti operati e per quelli trattati farmacologicamente non presentino sostanziali differenze. Inoltre, osserva che per il 20% dei pazienti in terapia antibiotica si sia reso necessario l’intervento chirurgico tardivo per inefficacia del trattamento. Ci si chiede quindi se una recidiva del 20% dopo un anno sia un risultato positivo o meno. Le percentuali di ricorrenza della malattia su un periodo di osservazione più lungo potrebbero essere ben maggiori.
Gli autori sono giustamente cauti nel promuovere i risultati del loro studio, conclude l’editoriale. Probabilmente, finche non ci saranno maggiori evidenze e ulteriori ricerche con risultati misurati sul lungo termine, il bisturi resterà ancora la prima scelta come soluzione per le appendiciti acute, anche non complicate.
Leggi lo studio pubblicato su British Medical Journal
Pubblicato il: 19 aprile 2012