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Sindrome di Down: la rivista di neuroscienze “Brain” pubblica nuovo studio

Un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna ha pubblicato sulla rivista di neuroscienze “Brain” uno studio che dimostra la possibilità di riuscire a ripristinare, su uno specifico modello di topo di laboratorio, lo sviluppo del cervello colpito da sindrome di Down, grazie a una terapia farmacologica prenatale.

La ricerca, guidata da Renata Bartesaghi, evidenzia per la prima volta come sia possibile correggere in laboratorio, prima della nascita, le alterazioni cerebrali e le disabilità cognitive causate dalla sindrome di Down.

Lo studio ha evidenziato che, a eccezione dei neuroni della regione ippocampica, che si formano in larga misura dopo la nascita, la maggior parte dei neuroni che popola il cervello viene generata nel feto; pertanto, essendo il periodo prenatale quello più critico per il normale sviluppo cerebrale, i ricercatori hanno studiato la possibilità di ripristinare farmacologicamente, in esemplari appena nati, il corretto sviluppo cerebrale tramite la somministrazione di fluoxetina, un antidepressivo di largo uso.

La disabilità cognitiva tipica della sindrome di Down è sempre stata considerata irreversibile.

La sindrome di Down è una malattia genetica ad alta incidenza provocata dalla triplicazione del cromosoma 21. La sindrome di Down può determinare diverse manifestazioni cliniche, ma la disabilità cognitiva, presente fin dalle prime fasi della vita, è sempre presente. Il ritardo mentale è attribuito alla riduzione complessiva del volume del cervello che, secondo gli ultimi studi, sarebbe causato da un difetto critico e generalizzato nella formazione di neuroni a partire dalla fase embrionale dello sviluppo cerebrale. Tale anomalia è aggravata da una difettosa maturazione dei neuroni che presentano un ridotto numero di rami dendritici e una ridotta densità delle spine dendritiche, le sedi di contatto (sinapsi) dove avviene la ricezione delle informazioni provenienti da altre cellule cerebrali.

Lo studio qui


Pubblicato il: 27 dicembre 2013

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